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Dal canto suo la Caritas continuerà nel suo impegno pastorale, avendo sempre ben chiaro quanto Papa Francesco ha ripetuto lo scorso aprile nell’Udienza per i 45 danni di Caritas Italiana: “I poveri sono la proposta forte che Dio fa alla nostra Chiesa affinché essa cresca nell’amore e nella fedeltà”.

Tale decalogo costituisce un piano pastorale su cui sarà necessario confrontarsi per poi cercare di declinarlo su più livelli, dal locale al nazionale, fino alla dimensione europea e internazionale.
Per far questo occorre una pastorale non astratta, ma che si confronta quotidianamente con le persone, con i problemi, con lo sviluppo di un territorio.
L’obiettivo è di non fermarci ai bisogni immediati. Bisogna puntare a rilanciare l’impegno nel campo di tutte le politiche, non solo quelle sociali, con maggiore attenzione alla loro efficacia nei confronti dei destinatari, da valutare sulla base di “parametri di umanizzazione” da applicare soprattutto nella dimensione locale. Esemplificando potrà dirsi valido un intervento se emancipa i poveri, realizza giustizia, suscita libertà, diffonde umanità, promuove accoglienza, stimola partecipazione.
Proprio per questo bisogna presidiare le nuove forme di inclusione sociale dei poveri, di sviluppo di comunità, di welfare generativo, nuovi percorsi di coesione sociale, di volontariato e di servizio, di accoglienza diffusa, di coinvolgimento dei giovani, di partecipazione dal basso, di discernimento comunitario, di innovazione sociale, di educazione ad una ecologia integrale, alla pace, all’interculturalità, alla responsabilità verso l’ambiente, alla mondialità.
Per una carità sempre “inquieta”, aperta al mondo, che sa leggere i segni dei tempi, studia le interconnessioni dei fenomeni, collega emergenze e cause, impasta insieme solidarietà concreta, advocacy e percorsi educativi, denuncia profetica con ricaduta pedagogica, secondo approcci glocali, frutto di reti e alleanze, dal nazionale all’internazionale.
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